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Da Michelangelo a Manetas, l’inquietudine di Pollock in mostra a Firenze

Posted on 15/04/201431/01/2017 by Fabio Pariante

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Alcolizzato, ribelle, inquieto e anche un po’ pazzo. Sono questi gli ingredienti giusti per una personalità difficile e geniale come quella dell’artista americano più famoso dell’Espressionismo astratto, Paul Jackson Pollock (1912-1956). Promotrice dell’Action painting, Firenze ha scelto di ospitare la sua arte per la prima volta tra Palazzo Vecchio e il Complesso di San Firenze in una mostra imperdibile, La figura della furia, dal 16 aprile al 27 luglio 2014.

Insomma, da New York a Firenze il passo è breve. L’arte di Pollock vede le sue radici in quella di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), il maestro del Rinascimento italiano quando non sapeva ancora se dedicarsi alla pittura o alla scultura e non a caso i curatori dell’esposizione, Sergio Risaliti e Francesca Campana, per il 450esimo anniversario della scomparsa di Michelangelo hanno deciso di rendergli omaggio proprio nei palazzi più importanti della realtà fiorentina, accostando l’arte “libera e irregolare” del Novecento a quella “aulica e razionale” del Cinquecento.

Alla continua ricerca di soldi e di psicologi, la vita di Pollock non è stata proprio una passeggiata e i suoi dipinti erano tele immacolate su cui sfogare, senza un disegno progettuale, ogni dolore con la tecnica del dripping (sgocciolamento): dal pennello o direttamente dal barattolo, l’artista faceva scendere gocce di colore su un’enorme superficie da dipingere (tela o cartone disposti in terra) con l’azione casuale del braccio, appunto l’Action painting, la pittura d’azione che vedrà coinvolti anche i pittori Willem de Kooning e Franz Kline.

number-17-1949.jpg!Blog

(Number 17, P. J. Pollock – www.wikipaintings.org)

Una corrente artistica segnata dalla nascita della psicanalisi di Sigmund Freud che mette in discussione non solo la coscienza dell’essere umano, ma con occhi  diversi, anche la lettura del mondo. Così, la pittura d’azione diventa il mezzo per scuotere la sensibilità dello spettatore e l’artista ha il compito di spronarlo dal profondo attraverso il segno lasciato dalla furia del corpo, generando capolavori all-over (a tutto campo) che idealmente “tendono all’infinito”. Un’arte che con evidenti riferimenti surrealisti, abbandona la ricerca oggettiva e riflessiva del periodo artistico razionale.

Sebbene i due geni avessero tecniche espressive diverse, hanno in comune l’originalità con cui si dedicavano all’arte: Pollock abolisce l’uso del cavalletto per sentirsi parte integrante della tela durante la realizzazione dell’opera e Michelangelo? Basti pensare alle difficili posture (d’altronde non poteva altrimenti) per dipingere uno dei più grandi capolavori del Rinascimento: gli affreschi della volta nella Cappella Sistina in Città del Vaticano. Tra l’altro, al Metropolitan Museum di New York sono conservati alcuni disegni, gli Sketchbooks I-II, che Pollock fece all’inizio della sua carriera in riferimento proprio agli ignudi della Cappella Sistina.

L’arte americana del XX secolo e la storia della hulla del Rinascimento (per dirla in dialetto fiorentino) si incontrano in un’unica e originale esposizione di dipinti e spazi multimediali, questi ultimi realizzati per favorire una maggiore interazione del visitatore con la mostra. Continua su Wired.

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