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Fabio Pariante

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Ian Cheng e l’evoluzione dell’intelligenza emotiva alla Sandretto di Torino

Posted on 20/04/201528/01/2017 by Fabio Pariante

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Può la tecnologia modificare il nostro corpo e le capacità percettive attraverso l’arte? Il giovane artista Ian Cheng prova a dimostrarlo con la retrospettiva Emissary in the Squat of Gods alla Fondazione Sandretto Re Rebuadengo di Torino, dal 23 aprile al 30 agosto 2015, a cura di Hans Ulrich Obrist, direttore della Serpentine Gallery di Londra.

Complice la sua formazione multidisciplinare umanistica e scientifica, l’arte di Cheng si basa sull’evoluzione dell’intelligenza emotiva, sulla complessità della mente umana, sulla percezione degli ambienti circostanti e sulla conseguente risposta agli stimoli esterni.

Con Oculus Rift, video installazioni e software dedicati, l’artista indaga le possibilità delle nostre capacità percettive tra la complessità della mente umana e la realtà esterna, sempre imprevedibile. Per le opere interattive fa riferimento a persone vere col fine di realizzare azioni performative i cui dati rilevati vengono raccolti in un computer che, a sua volta, li traduce in forme sintetiche.

I video come His Papaya Tastes Perfect (2011), rappresentano la realtà concreta per cui non prevedono un inizio e una fine, ma scorrono in tempo reale e i personaggi, perlopiù piante, oggetti e persone, si muovono in un ambiente neutro e in varie direzioni fino alla perdita di controllo, lasciando spazio alla casualità. Tutto ciò è possibile grazie agli algoritmi evolutivi, ossia quei software dalla risposta sempre differente che l’artista definisce “organismi” imprevedibili nella realtà parallela.

“Se riesci a immaginare una cosa a metà fra il genere del videogame e quello del film, ecco, è quello”. Ian Cheng durante l’intervista rilasciata ad Hans Ulrich Obris per il catalogo della mostra torinese. “È un po’ come una storia vivente – continua l’artista – io la chiamo ‘smart-story’, non perché sia intelligente, ma nel senso di uno smartphone o di una smart house, cioè un telefono o una casa, concepiti non come oggetti inerti ma come organismi. Immagina una storia che vive di vita propria, non una vita metaforica ma una vita vera, e che quindi può cambiare leggermente la propria sceneggiatura, può modificarsi e lasciare spazio alla casualità, proprio come un organismo nella vita reale può accogliere in sé la casualità. È una narrazione – aggiunge Cheng – che ha la capacità di automodificarsi”.

Ian Cheng, Entropy Wrangler Cloud, 2013Ian Cheng, Entropy Wrangler Cloud, 2013

Un po’ come l’arte che genera arte, la Generative Art, una pratica artistica che nasce negli anni Ottanta e che utilizza software come medium per creare arte in maniera automatica grazie a un processo generativo di istruzioni prestabilito dal programmatore. La macchina, infatti, esegue le istruzioni sottoforma di algoritmo che andranno poi a svilupparsi in modo autonomo e automatico nel cui risultato è negata l’intenzionalità dell’artista.

Lo studio interattivo di Cheng, che mette in gioco la complessità della mente umana con la realtà esterna, fa riflettere sui limiti delle possibilità del genere umano e in occasione della personale, l’artista presenta il primo episodio della nuova serie di film, Once out of Nature. Una trilogia dedicata alla storia dell’evoluzione cognitiva, e quindi allo sviluppo della coscienza. Si tratta di un progetto ispirato alla ricerca dello psicologo americano Julian Jaynes il quale sostiene che gli esseri umani sono arrivati a sviluppare una coscienza riflessiva e introspettiva, non prima di tremila anni fa. Continua su Wired.

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